19 Dicembre 2025
REDAZIONE
Quando nel 2021 l’Unione Europea varò la Strategia europea sulle droghe 2021-2025, il contesto politico era profondamente diverso da quello attuale. All’epoca, non senza difficoltà, l’Europa riuscì a mantenere una linea di equilibrio tra politiche di salute pubblica e ordine pubblico, aprendo – seppur timidamente – a strumenti alternativi alla pura repressione penale. Un risultato ottenuto anche grazie alla pressione della società civile e all’intervento decisivo della presidenza tedesca del Consiglio Ue, che riuscì a correggere una prima bozza della Commissione fortemente orientata alla riduzione dell’offerta e al penale.
Uno dei passaggi più significativi di quella Strategia fu il riconoscimento della Riduzione del danno (RdD) come asse autonomo delle politiche sulle droghe, sottraendola al ruolo marginale di semplice supporto alla “riduzione della domanda”. Un cambio di paradigma importante, che collocava l’Europa, a livello globale, in una posizione più attenta ai diritti umani, alla salute e alle evidenze scientifiche.
Da allora, però, lo scenario europeo è mutato radicalmente. Gli equilibri nel Parlamento europeo sono cambiati, con una crescita significativa delle forze di destra; la Commissione ha progressivamente adottato un approccio sempre più law & order su fenomeni sociali complessi; e in molti Stati membri si sono affermati governi orientati all’autoritarismo e al panpenalismo. È in questo contesto che prende forma la nuova Strategia europea sulle droghe 2026-2030, accompagnata da un Piano d’azione 2026, e che iniziano a manifestarsi le prime, forti preoccupazioni.
I testi della nuova strategia e del piano di azione sono stati presentati a Bruxelles, nei giorni scorsi, durante il Civil Society Forum on Drugs (Csfd), la rete di organizzazioni della società civile accreditate dall’Ue come interlocutori sulle politiche in materia di sostanze stupefacenti. A illustrarli è stato il commissario europeo per gli Affari interni e le migrazioni, Magnus Brunner. La reazione di molte associazioni – tra cui il network globale Idpc e, in Italia, Forum Droghe e Cnca – è stata di forte allarme e perplessità .
Il nodo centrale delle critiche riguarda il ritorno a una narrazione allarmistica della “minaccia droga” e l’eccessiva enfasi su controllo di polizia, repressione e sicurezza delle frontiere. Secondo la proposta della Commissione, infatti, un ruolo cruciale viene affidato a Frontex, che dovrebbe rafforzare la sorveglianza e il monitoraggio del traffico di droga alle frontiere esterne dell’Unione. Per farlo, l’agenzia potrà avvalersi della collaborazione con Emsa e SatCen, utilizzando dati satellitari e aerei per individuare presunte “minacce” legate al traffico di sostanze stupefacenti .
Questa impostazione richiama esplicitamente, secondo molte associazioni, gli echi della nuova “guerra alla droga” in stile Trump, fatta di interventi muscolari e militarizzazione delle risposte. Non a caso, Brunner ha indicato come “cruciali” le partnership civili-militari e il rafforzamento della governance marittima delle missioni Eunavfor Atlanta ed Eucap Somalia, nate originariamente per contrastare la pirateria al largo del Corno d’Africa. A ciò si aggiunge il sostegno dell’Ue ai Paesi dell’Africa occidentale nella lotta contro il traffico di droga, in una logica sempre più esternalizzata e securitaria del controllo .
Accanto a questo impianto fortemente repressivo, la nuova strategia contiene anche elementi che la società civile valuta positivamente. Tra questi, la raccomandazione a tutti gli Stati membri di dotarsi di stanze del consumo, considerate un pilastro della Riduzione del danno, e l’aggiornamento delle norme sul monitoraggio e il controllo dei precursori chimici utilizzati nella produzione illecita di anfetamine, ecstasy, metanfetamina, cocaina ed eroina. È significativo, però, che tra le sostanze prese in considerazione non venga mai menzionata la cannabis, segnalando una visione parziale e selettiva del fenomeno .
Proprio alla luce di questi segnali contrastanti, le reti della società civile europea hanno iniziato a mobilitarsi con decisione. La prospettiva di una Strategia 2026-2030 che segni un arretramento sul terreno dei diritti, della salute e della Riduzione del danno viene percepita come un rischio concreto. Il prossimo semestre e i primi mesi del 2026 si preannunciano quindi come un periodo di intensa battaglia politica e culturale.
Il 26 giugno, in occasione della giornata Support don’t punish – nuova denominazione scelta dal movimento riformatore per la Giornata internazionale Onu contro l’abuso e il traffico illecito di droghe – la neonata European Drug Policy Alliance, che riunisce le principali reti europee e numerose organizzazioni nazionali (tra cui Forum Droghe), ha lanciato la EU Drug Policy Campaign 2025. Primo atto della campagna è stato un Manifesto dal titolo esplicito: “La riduzione del danno funziona! Appello per una politica europea sulle droghe basata sulla salute”, rivolto in primo luogo ai parlamentari europei democratici, affinché esercitino un ruolo di indirizzo e controllo sulla nuova Strategia .
Parallelamente, viene considerata fondamentale l’azione a livello nazionale, per informare e sensibilizzare i rappresentanti nei Parlamenti europei e favorire la nascita di un intergruppo a Strasburgo capace di portare avanti una battaglia che non riguarda solo il consumo di sostanze – che coinvolge circa un quarto della popolazione europea – ma questioni più ampie di giustizia sociale, diritti e tenuta democratica di fronte all’avanzata del panpenalismo autoritario.
In questo quadro, il caso italiano appare particolarmente critico. Il governo è descritto come sempre più ideologico, autoritario e autoreferenziale: dal reato di rave all’inasprimento delle pene per le condotte minori, dal codice della strada al decreto sicurezza, fino alla prevista autocelebrazione della VII Conferenza nazionale governativa di novembre. Sebbene finora, in sede internazionale – come alla Commission on Narcotic Drugs (Cnd) di Vienna – l’Italia abbia mantenuto un allineamento formale alle posizioni europee, è opinione diffusa che a Bruxelles non esiterà a sostenere le opzioni più retrive sulla nuova Strategia. Un segnale evidente in questa direzione è il recente abbandono del Gruppo Pompidou, organismo del Consiglio d’Europa sulle droghe fondato anche dall’Italia nel 1971 e impegnato da anni nella promozione dei diritti umani e della Riduzione del danno, giudicati evidentemente incompatibili con l’attuale indirizzo politico nazionale .
Nel complesso, la nuova strategia europea sulle droghe si presenta quindi come un crocevia decisivo: da un lato, la possibilità di consolidare e rafforzare un approccio basato su salute, diritti e pragmatismo; dall’altro, il rischio di un ritorno a logiche securitarie, militarizzate e punitive, che la storia – non solo europea – ha già dimostrato inefficaci. Il confronto è aperto, e il prossimo futuro dirà se l’Unione sceglierà di guardare avanti o di rifugiarsi, ancora una volta, nelle vecchie ricette.

