Italia fuori dal gruppo Pompidou: repressione, carceri piene e una politica sempre più isolata

15 Luglio 2025

REDAZIONE

Nel giugno 2025, con una mossa tanto simbolica quanto sostanziale, l’Italia ha annunciato ufficialmente il proprio ritiro dal Gruppo Pompidou del Consiglio d’Europa, organismo internazionale nato per promuovere politiche coordinate sulla droga, l’alcol e altre dipendenze. Una decisione che arriva proprio durante la presidenza italiana del gruppo stesso, incarico ottenuto per la prima volta solo due anni prima, nel dicembre 2022. Il tempismo dell’abbandono — a metà mandato — ha colto di sorpresa Strasburgo e ha acceso un acceso dibattito sul significato politico e sociale di questa uscita.

Una decisione ideologica

A firmare la lettera di uscita, inviata nel maggio scorso e anticipata dal Sole 24 Ore, è stato il governo Meloni. Il sottosegretario Alfredo Mantovano ha giustificato la scelta dichiarando che il gruppo Pompidou, formato da 41 Stati membri, avrebbe «orientamenti non in linea con i nostri obiettivi di cura, prevenzione e riabilitazione». In realtà, come denunciano associazioni come Fuoriluogo, Antigone, Arci, CNCA e la campagna Support! Don’t Punish, ciò che emerge è una netta divergenza ideologica: il governo italiano pare rigettare ogni approccio che metta al centro i diritti umani e le politiche di riduzione del danno.

L’uscita italiana arriva proprio mentre il gruppo Pompidou stava iniziando i preparativi per una conferenza ministeriale di fine anno, rafforzando il sospetto che si tratti di una decisione più politica che tecnica, soprattutto considerando che la presidenza è passata repentinamente alla Svizzera, allora vicepresidente.

Cos’è il Gruppo Pompidou?

Il Gruppo Pompidou è una rete intergovernativa creata nel 1971 su iniziativa del presidente francese Georges Pompidou. L’Italia fu uno dei sette Paesi fondatori. Oggi il gruppo si occupa di dipendenze a 360 gradi: dalle droghe tradizionali fino all’abuso di alcol, tabacco e dipendenze comportamentali, inclusa la dipendenza da internet e gioco d’azzardo. Non è un ente punitivo, ma uno spazio di confronto tecnico-scientifico dove si promuove una governance basata su ricerca, prevenzione, tutela dei diritti e approcci umanitari. Tra le sue missioni vi è quella di sostenere strategie integrate tra giustizia, sanità e politiche sociali, lontano dalla retorica repressiva e dal populismo penale.

Il Libro Bianco e i numeri della repressione

La rottura italiana con il gruppo Pompidou coincide con la pubblicazione del XVI Libro Bianco sulle droghe, presentato alla Camera per iniziativa di Riccardo Magi (+Europa). I numeri sono impressionanti: a giugno 2025, il 34,1% dei detenuti nelle carceri italiane è recluso per reati legati alle droghe — una percentuale quasi doppia rispetto alla media europea (18%) e ben superiore a quella mondiale (22%). Solo una piccola parte di questi detenuti è in carcere per traffico di alto livello: la stragrande maggioranza è composta da piccoli spacciatori e consumatori.

Si registra anche un altro dato allarmante: quasi il 39% degli ingressi in carcere riguarda persone dichiarate tossicodipendenti. È la cifra più alta dal 2006, anno in cui entrò in vigore la legge Fini-Giovanardi, che ha equiparato droghe leggere e pesanti, rendendo più severe le pene anche per reati minori. I minori non sono risparmiati: nel 2024, 3.722 adolescenti sono entrati in percorsi giudiziari, e nel 97,7% dei casi la sostanza coinvolta era la cannabis.

I paradossi della linea proibizionista

Mentre la relazione annuale al Parlamento certifica un leggero calo del consumo tra i giovani e un aumento preoccupante dell’abuso di psicofarmaci, il governo pare ignorare le evidenze scientifiche per insistere su una visione ideologica che confonde consumo, abuso e dipendenza. Questo approccio, secondo il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (CNCA), impedisce qualsiasi lettura articolata e costruttiva del fenomeno.

Nel frattempo, a livello globale, il 2024 segna un record per la cocaina: secondo l’UNODC, la produzione è aumentata del 34% in un solo anno, e il numero di consumatori è passato da 17 a 25 milioni nel giro di un decennio. L’Italia, impegnata a criminalizzare la cannabis, rischia così di sottovalutare le vere minacce che si affacciano sul mercato europeo.

La voce del Papa e la condanna alla “guerra ai poveri”

Perfino Papa Leone XIV è intervenuto sull’argomento, condannando apertamente la tendenza a colpire l’ultimo anello della catena del narcotraffico: «Troppo spesso, in nome della sicurezza, si è fatta la guerra ai poveri, riempiendo le carceri di coloro che sono soltanto l’ultimo anello di una catena di morte». Il Pontefice ha invitato i governi a combattere l’emarginazione, non gli emarginati.

Un’Italia sempre più isolata

Con l’uscita dal gruppo Pompidou, l’Italia si allontana da un consesso che ha fatto del dialogo tra scienza, diritto e umanità la propria bussola. E mentre la Svizzera prende il testimone della presidenza con l’obiettivo di rafforzare le politiche fondate sui diritti, Roma si ritira in un recinto ideologico che, come dimostrano i numeri, non fa che aggravare i problemi invece di risolverli.

Il rischio concreto? Che la “guerra alla droga” diventi sempre più una guerra contro i poveri, i fragili e i giovani, lasciando impuniti i veri padroni del traffico e isolando l’Italia dalle esperienze più avanzate e razionali d’Europa.

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