Cannabis light: sul divieto del decreto Sicurezza deciderà la Corte Costituzionale

5 Dicembre 2025

lindipendente.online

Mario Catania

https://www.lindipendente.online/2025/12/03/cannabis-light-sul-divieto-del-decreto-sicurezza-decidera-la-corte-costituzionale/

Sarà la Corte Costituzionale a decidere se il divieto del fiore di canapa industriale, previsto dal decreto Sicurezza, sia conforme alla Costituzione oppure no. Il giudice per le indagini preliminari di Brindisi, in un processo iniziato lo scorso giugno, ha infatti deciso di sollevare la questione della legittimità costituzionale nei confronti dell’articolo 18 del testo di legge, e in particolare dell’emendamento sulla canapa, che prevede il divieto di «importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna vendita al pubblico e consumo» delle infiorescenze di canapa industriale.

Nell’ultimo periodo la repressione del governo nei confronti delle infiorescenze di canapa industriale ha fatto un salto di qualità: dopo mesi e mesi di sequestri e processi, che nella stragrande maggioranza dei casi si risolvono in favore di agricoltori e commercianti di settore, negli ultimi mesi abbiamo visto diversi coltivatori che sono stati addirittura arrestati, per poi essere prontamente scarcerati. L’ultimo caso ha riguardato un imprenditore di Imperia, arrestato a inizio novembre con l’accusa di detenzione si fini di spaccio per 350 kg di canapa sequestrata, che poi si è rivelata legale e con THC sotto i limiti di legge, ed è stato rimesso in libertà. Nelle motivazioni delle scarcerazioni diversi giudici hanno messo nero su bianco che, senza le analisi scientifiche che attestino un reato, non è possibile procedere.

Il processo celebrato a Brindisi riguardava invece l’importazione, da parte di un’azienda italiana, di piante di canapa provenienti dalla Bulgaria, bloccate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. «Grazie a questo procedimento», sottolinea l’avvocato Lorenzo Simonetti, che con la sua memoria ha convinto il gip a sollevare la questione di legittimità, «potremo essere in grado di bloccare le iniziative arbitrarie riguardo alla canapa industriale, perché, finché la Consulta non si esprimerà, c’è il dubbio di costituzionalità». Può essere una questione dirimente per molti motivi, anche perché il provvedimento è direttamente collegato al nuovo Codice della strada, in questi giorni al vaglio proprio della Corte costituzionale, che prevede che basti la positività agli stupefacenti per vedersi sospesa la patente. Nel preambolo dell’emendamento canapa al decreto Sicurezza si legge infatti che il consumo delle infiorescenze di canapa industriale, determina la guida sotto effetto di stupefacenti.

Insomma, per la canapa italiana sta per arrivare il momento della verità. Il Parlamento europeo ha approvato il nuovo regolamento che riconosce la pianta di canapa come legale in ogni sua parte – fiori compresi – con THC fino allo 0,5%: ora si apre la fase della negoziazione con la Commissione europea e gli Stati membri e, se tutto andasse liscio, potrebbe essere approvato già nel 2026, facendo decadere la repressione italiana. L’altro fronte aperto è quello derivato dalla volontà del governo di inserire la canapa tra le piante officinali, limitando però l’uso a fibra e semi, con un decreto nel 2022. Dopo il ricorso delle associazioni di settore il decreto viene annullato, ma il governo Meloni ha impugnato la sentenza, e si è arrivati alla decisione del massimo organo amministrativo italiano, che ha demandato la decisione alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Mentre i divieti governativi cominciano a scricchiolare, il governo però è già corso ai ripari. È infatti spuntato un emendamento alla legge di Bilancio, che va approvata entro la fine dell’anno, firmato da un senatore di Fratelli d’Italia, che introduce il monopolio di Stato per le infiorescenze di canapa, con un’accisa al 40% e il divieto di vendita online. Si tratta di una legge simile a un’altra proposta dalla maggioranza nel 2023, mai discussa, che – nel caso in cui i divieti del governo cadessero – sarebbe già pronta a iper-tassare lo stesso mercato che fino a ieri l’esecutivo voleva vietare a ogni costo

La cannabis light bussa alla Consulta

Redazione

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L’ordinanza della GIP di Brindisi sulla canapa industriale rimette alla Consulta l’art. 18 del decreto sicurezza e il nuovo divieto penale sulla cannabis light.

La storia che arriva da Brindisi assomiglia a molte altre viste negli ultimi mesi nelle città italiane: scatoloni pieni di canapa industriale, documentazione di provenienza a corredo, perizie chimiche che attestano livelli di THC bassi e una forte presenza di CBD, operatori economici che lavorano dentro la cornice della legge 242/2016. Tanti dissequestri nelle aule italiane in questi primi mesi di applicazione del decreto sicurezza. Ma questa volta si apre invece la porta della Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul cuore del nuovo divieto penale sulle infiorescenze di cannabis sativa introdotto dal decreto sicurezza del Governo Meloni.

Il procedimento nasce da un sequestro a Costa Morena Ovest, nel porto di Brindisi, su due autoarticolati provenienti dalla Grecia, carichi di rami, foglie e infiorescenze di canapa industriale destinati alla MaryLab, società agricola italiana. L’Agenzia delle Dogane e la Guardia di Finanza ricostruiscono la filiera, rilevano criticità nella tracciabilità delle sementi e, soprattutto, valori di THC leggermente superiori allo 0,3%, ma con un rapporto THC/CBD tale da collocare il prodotto nel campo della cannabis sativa a effetto non drogante, come conferma una perizia tossicologica svolta nel contraddittorio delle parti. 

Il Pubblico ministero, forte della stretta introdotta dall’articolo 18 del decreto-legge 48/2025, convertito nella legge 80/2025, revoca il sequestro probatorio solo per ordinare contestualmente la distruzione della sostanza ai sensi dell’articolo 87 del Testo unico stupefacenti. Nella sua lettura, infatti, le nuove norme hanno trasformato le infiorescenze di canapa e i prodotti che le contengono in “cose intrinsecamente illecite”, sempre confiscabili, comunque non commerciabili, a prescindere dalla concreta pericolosità della sostanza e dalla condotta degli operatori.

La giudice per le indagini preliminari sceglie una strada opposta. Di fronte all’opposizione della difesa contro l’ordine di distruzione, ritiene che l’esito del giudizio dipenda dalla tenuta costituzionale del nuovo articolo 18 e decide di sospendere il procedimento, rimettendo la questione alla Consulta. Il bersaglio è preciso: il divieto generalizzato, esteso a importazione, lavorazione, trasporto, commercio e vendita al pubblico delle infiorescenze di canapa coltivata nel quadro della legge 242/2016, salvo la sola eccezione della produzione di seme. 

L’ordinanza attacca il decreto sicurezza su più fronti. Sul piano formale, contesta che vi fossero “casi straordinari di necessità e urgenza” tali da giustificare la decretazione d’urgenza: il testo sul quale è stato modellato il decreto era già un disegno di legge in avanzata discussione parlamentare, e il maxi contenitore del “pacchetto sicurezza” appare eterogeneo al punto da diventare un sintomo dell’abuso dello strumento eccezionale previsto dall’articolo 77 della Costituzione. 

Ma è sul terreno sostanziale che l’ordinanza di Brindisi parla direttamente al dibattito sulla cannabis light. Richiamando la giurisprudenza costituzionale sul principio di offensività, la giudice ricorda che il legislatore può punire solo condotte che esprimano un contenuto di offesa, anche solo potenziale, a beni giuridici meritevoli di tutela, e che non esiste “reato senza lesione o pericolo”. Applicato alla canapa industriale, questo significa una cosa semplice: non si può trasformare in reato, in blocco, l’intera filiera delle infiorescenze senza dimostrare che quei prodotti provocano effetti psicotropi o danni alla salute sulla base di dati scientifici condivisi.

Nell’ordinanza si sottolinea come, nel settore della canapa agroindustriale sviluppatosi dopo la legge 242/2016, proprio le infiorescenze rappresentino la parte principale del mercato e siano, nella prassi, prodotte e commercializzate con tenori di THC bassi e rapporti THC/CBD tali da non determinare un effetto drogante. Vietarne a prescindere la circolazione, sotto la spada di damocle penale, non appare allora una misura di tutela, ma una criminalizzazione simbolica che sacrifica lavoro, investimenti, reddito agricolo, senza un corrispettivo guadagno per la salute pubblica.

C’è poi il profilo europeo. L’ordinanza richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea sulla libera circolazione dei prodotti derivati dalla canapa industriale, in particolare le sentenze che hanno affermato la legittimità del commercio di estratti di CBD ottenuti dall’intera pianta, a condizione che non abbiano effetti stupefacenti. A fronte di un diritto dell’Unione che consente la circolazione della canapa in tutta la sua interezza, un divieto penale nazionale così ampio appare difficilmente compatibile con gli articoli 34 e 36 del TFUE e quindi con l’articolo 117 della Costituzione, che vincola il legislatore al rispetto degli obblighi europei. 

Per chi si batte da anni contro la demonizzazione della cannabis light, l’ordinanza di Brindisi rappresenta molto più di un incidente di percorso nel cammino del decreto sicurezza. È il segnale che una parte della giurisdizione rifiuta di trasformare in automatismo repressivo la scelta politica di colpire un comparto produttivo regolato, privo di reali ricadute in termini di abuso di droghe e, anzi, potenziale alleato di politiche di riduzione del danno e di emersione dal mercato nero.

Ora la parola passa alla Corte costituzionale. Dal suo verdetto dipenderà non solo la sorte di quei 3.400 chili di canapa “criminalizzati”, ma il futuro stesso della filiera delle infiorescenze, dei cannabis shop, dei piccoli produttori e di migliaia di lavoratrici e lavoratori. In gioco non c’è solo la coerenza del sistema penale, ma l’idea se la politica sulle droghe debba continuare a ignorare la scienza e il diritto europeo, o se sia arrivato il momento di riconoscere che, almeno sulla cannabis light, è la legge a essere “fuori linea” con lo Stato di Diritto, non chi coltiva e lavora canapa nel rispetto delle regole.