Canapa industriale sotto accusa: sequestri e inchieste in Sardegna e oltre

Il settore della canapa industriale in Italia vive un momento di grande incertezza. Negli ultimi mesi, diversi coltivatori sono finiti nel mirino della magistratura con accuse pesanti di produzione e detenzione di stupefacenti, nonostante si trattasse di piantagioni destinate ad usi legali come quello tessile o alimentare.

Il caso più recente è avvenuto in Puglia: un coltivatore è stato arrestato e rimasto tre giorni in carcere, per poi essere scagionato. Episodi simili, però, si moltiplicano soprattutto in Sardegna, dove le autorità hanno sequestrato ed estirpato intere coltivazioni. Lì, imprenditori come Franco Ledda, giovane titolare dell’azienda agricola Leafuture, e Fabio Sulas, proprietario della Quattro Mori, si trovano ora indagati e rischiano pene dai 6 ai 20 anni di reclusione.

Le indagini si basano in gran parte sul sospetto che le coltivazioni possano produrre infiorescenze vietate dal decreto Sicurezza. A Sassari, la Guardia di Finanza ha sequestrato oltre 275 chili di infiorescenze e più di 1.700 piante a Ledda, mentre a Oristano a Sulas sono stati estirpati 2.490 arbusti di canapa, insieme a 40 chili di residui vegetali. Le analisi successive hanno rilevato livelli di THC inferiori allo 0,6%, soglia sotto la quale la pianta non ha effetti psicotropi: nonostante ciò, le coltivazioni sono state distrutte.

Questa situazione ha spinto la senatrice Sabrina Licheri (M5s) a presentare un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che solo pochi mesi fa aveva rassicurato gli agricoltori sulla liceità della coltivazione e della commercializzazione della canapa “nella sua interezza, comprese le infiorescenze”. Una promessa di chiarimento tramite circolare che, però, non è mai arrivata.

Le tensioni non si limitano alla Sardegna: a settembre, in Liguria, i Carabinieri hanno sequestrato a un coltivatore 56 piante e 5 chili di infiorescenze, poi restituiti dalla procura che ha escluso qualsiasi efficacia drogante. Ma ormai i danni erano irreversibili: le piante, estirpate, non erano più utilizzabili. In Piemonte, la magistratura ha aperto indagini su diversi negozianti accusati di commerciare cannabis light.

Gli avvocati che difendono i coltivatori denunciano un clima di criminalizzazione preventiva, dove basta il sospetto legato alla presenza dei fiori per far scattare sequestri e procedimenti penali. Una linea dura che, secondo molti osservatori, contrasta apertamente con la giurisprudenza consolidata: la Cassazione, con una sentenza del 31 maggio 2019, ha stabilito che senza dimostrazione dell’effetto psicotropo non si possono vietare le infiorescenze di canapa industriale.

Il risultato è un settore produttivo che conta centinaia di aziende e migliaia di posti di lavoro messo in ginocchio da incertezze normative e interventi repressivi. La Sardegna, che alcuni definiscono un “laboratorio” nazionale, mostra quello che potrebbe accadere anche altrove: sequestri a tappeto, coltivazioni distrutte, imprenditori indagati per droga pur operando nel rispetto delle regole agricole.

Norme, Europa e impatti economici

Il nodo centrale del dibattito sulla canapa industriale in Italia è l’incertezza normativa. Da un lato la Legge 242/2016 consente la coltivazione e l’utilizzo delle varietà certificate di canapa per fini industriali, tessili, alimentari e cosmetici. Dall’altro, il Decreto Sicurezza 2025 ha introdotto l’articolo 18, che vieta la produzione e la commercializzazione delle infiorescenze, trattandole alla stregua di sostanze stupefacenti, indipendentemente dal contenuto di THC.

Questa ambiguità ha creato una zona grigia: le aziende agricole, pur rispettando le norme europee sulla canapa industriale, rischiano sequestri e procedimenti penali. In Sardegna e non solo, il sospetto che i fiori possano essere destinati a uso ricreativo è sufficiente a scatenare indagini e distruzioni di intere piantagioni, anche quando le analisi certificano livelli di principio attivo ben al di sotto della soglia psicoattiva.

A livello europeo, la Corte di Giustizia UE ha ribadito che gli Stati membri non possono vietare in modo generalizzato la coltivazione e la commercializzazione della canapa industriale senza motivazioni scientifiche solide legate alla salute pubblica. Una posizione che mette in discussione la legittimità delle misure italiane, considerate sproporzionate da molte associazioni di settore.

Le ricadute economiche sono significative: in Italia operano circa 3.000 aziende e oltre 10.000 addetti nella filiera della canapa, con un giro d’affari stimato in 500 milioni di euro annui. Le infiorescenze, pur se a basso contenuto di THC, rappresentano una parte importante del fatturato, soprattutto grazie all’export europeo. Vietarle significa mettere a rischio la sostenibilità economica di centinaia di imprese.

Il settore, già fragile, si trova quindi stretto tra la crescente domanda internazionale e un quadro normativo nazionale che criminalizza di fatto una coltura legale. La contraddizione tra diritto europeo e politiche italiane rischia di trasformarsi in un contenzioso destinato a durare a lungo, con ripercussioni pesanti sull’agricoltura, sull’occupazione e sulla credibilità del Paese.

La vicenda solleva una domanda cruciale: quale futuro per la canapa industriale italiana? Senza un intervento normativo chiaro e coerente, il rischio è che l’intero comparto, tra i pochi realmente sostenibili e in crescita, venga soffocato da una politica che confonde coltivatori con narcotrafficanti.