10 Ottobre 2025
REDAZIONE
Madrid, 7 ottobre 2025.
Dopo anni di discussioni, il Governo spagnolo ha approvato il Real Decreto che regola l’uso medicinale della cannabis. Si tratta di una misura storica che integra ufficialmente i preparati a base di cannabis nel sistema sanitario nazionale, sotto stretto controllo medico e farmacologico.
Una notizia accolta appunto da molti come una svolta storica, ma che, letta tra le righe, lascia aperte più di una domanda, perché se da un lato si parla di “progresso scientifico” e “medicina personalizzata”, dall’altro la norma sembra costruita su un terreno ancora pieno di incertezze e con un carico burocratico molto pesante e senza un vero approccio
Solo in ospedale, e solo per pochi
L’entusiasmo iniziale si smorza subito leggendo i dettagli: l’uso della cannabis terapeutica sarà possibile solo negli ospedali e solo su prescrizione di medici specialisti. Tradotto: niente farmacie, niente medici di base, niente accesso semplice. Il decreto limita tutto al circuito ospedaliero, con formule magistrali preparate in laboratori autorizzati e monitoraggio continuo. Insomma, più che una “apertura” sembra un passaggio controllato a doppia chiave.
E non si può non chiedersi se questa rigidità — che teoricamente tutela il paziente — non finisca invece per rendere tutto inutilmente complicato per chi davvero avrebbe bisogno del trattamento.
Indicazioni ancora in divenire
Le condizioni cliniche per cui la cannabis potrà essere prescritta — dolore cronico refrattario, sclerosi multipla, epilessia grave, nausea da chemioterapia — sono già note. Ma il Real Decreto non fissa un elenco definitivo: sarà la AEMPS, l’Agenzia spagnola del farmaco, a stabilire di volta in volta cosa si può curare e cosa no, attraverso monografie tecniche.
Uso limitato agli ospedali e prescrizione solo da specialisti
Il decreto stabilisce che le formule magistrali a base di cannabis possano essere prescritte esclusivamente da medici specialisti e preparate unicamente nei servizi di farmacia ospedaliera autorizzati. I medici di base restano esclusi dalla possibilità di prescrizione, una scelta che mira a garantire che ogni trattamento sia giustificato da ragioni cliniche documentate e seguito da professionisti con competenze specifiche.
Le principali indicazioni riconosciute riguardano:
• il dolore cronico refrattario (non alleviato da altri farmaci),
• la spasticità associata alla sclerosi multipla,
• alcune forme gravi di epilessia refrattaria,
• le nausee e il vomito causati dalla chemioterapia.
Un sistema che sulla carta è “flessibile”, ma che nella pratica rischia di essere burocraticamente lento e soggetto a interpretazioni. La promessa è di aggiornare le indicazioni secondo le nuove evidenze scientifiche — ma in Spagna, come si sa, tra la teoria e la burocrazia c’è di mezzo l’oceano.
Controllo, qualità e tracciabilità dei preparati
I preparati standardizzati dovranno essere registrati presso l’AEMPS e presentare una composizione definita dei principi attivi THC e CBD. Le aziende produttrici saranno obbligate a rispettare severi criteri di fabbricazione, documentazione e controllo della catena di distribuzione. I prodotti che contengono più dello 0,2% di THC saranno soggetti a una fiscalizzazione aggiuntiva.
La dispensazione diretta nelle farmacie aperte al pubblico non sarà permessa: i medicinali saranno disponibili solo attraverso i canali ospedalieri, con monitoraggio clinico individualizzato da parte del medico e del farmacista ospedaliero.
Un controllo che sa di sfiducia
Il decreto impone un livello di controllo degno di un laboratorio nucleare: tracciabilità totale, limiti di THC sotto lo 0,2%, registri pubblici, audit obbligatori per le aziende, e produzione solo in ambienti ospedalieri. Da un lato è comprensibile: si vuole evitare abusi e garantire qualità. Dall’altro, questa impostazione dà la sensazione che lo Stato non si fidi né dei medici, né dei pazienti, né tantomeno delle piccole aziende che da anni operano nel settore del CBD. La cannabis entra così nel mondo sanitario, sì — ma scortata come un sospetto, non come un farmaco qualunque.
Pazienti tra speranza e timori
Per i pazienti, il passo è comunque importante. Carola Pérez, presidente dell’Osservatorio Spagnolo della Cannabis Medicinale, lo definisce “un giorno storico”.
Lo stavamo aspettando da anni — ha dichiarato —. Finalmente una regolamentazione che riconosce il valore terapeutico della cannabis per migliaia di pazienti che non trovavano soluzioni nei trattamenti tradizionali». Pérez ha tuttavia espresso alcune preoccupazioni: la possibile mancanza di formazione dei medici su quando e come prescrivere questi trattamenti e il rischio di “collo di bottiglia” nei laboratori ospedalieri per la forte domanda attesa. Eppure, lei stessa ammette che «molti medici non sanno ancora come e quando prescriverlo», e che gli ospedali potrebbero trovarsi “sommersi dalle richieste”. Un’ombra che lascia intendere che, al di là dell’entusiasmo, il sistema non è pronto.
Un confronto inevitabile
Altri Paesi, come Israele o Canada, hanno già integrato la cannabis terapeutica nel sistema sanitario in modo più ampio e funzionale. In Spagna, invece, si parte con il freno a mano tirato: la misura riguarda una minima parte dei pazienti, e tutto il resto resta sospeso in un limbo di regolamenti futuri, decreti attuativi e registri da compilare.
Una rivoluzione a metà
Sulla carta, la Spagna entra nell’era del cannabis terapeutico. Ma a guardarla bene, sembra più un esperimento controllato che una vera rivoluzione medica. Si è voluto dare un segnale di modernità, senza però abbandonare la prudenza (e la diffidenza) di sempre.
Il risultato? Una legge che promette molto, ma che rischia di rimanere più simbolica che pratica. Un passo avanti, certo — ma con lo sguardo sempre rivolto allo specchietto retrovisore.
Un passo verso una medicina più umana
Questa regolamentazione non è solo una questione di farmaci: è un segno dei tempi. Significa riconoscere che non esistono cure universali, ma persone con bisogni diversi. La cannabis terapeutica, usata con rigore medico, diventa così un simbolo di una medicina più personalizzata, più empatica e più moderna.
In fondo, come sempre, il progresso non è solo scoprire nuove sostanze: è imparare a usarle con intelligenza e responsabilità.