15 Luglio 2025
REDAZIONE
Il 30 maggio 2025, due piccoli negozi di cannabis light alle porte di Roma sono stati perquisiti. Dieci chili di infiorescenze e materiali di lavoro sono finiti sotto sequestro. I titolari, Simona Giorgi ed Emiliano Del Ferraro, si sono visti imputati per spaccio di stupefacenti. No, non stiamo parlando di cocaina, eroina o nuove droghe sintetiche. Si tratta di canapa industriale, legale in mezza Europa e in Italia fino a pochi mesi fa.
Benvenuti nella nuova Italia proibizionista, dove la guerra alle droghe ha smesso di distinguere tra pericolo e pregiudizio.
Il Decreto Sicurezza e l’articolo 18: la stretta ideologica
La miccia che ha acceso il caso è il famigerato articolo 18 del Decreto Sicurezza, varato dal governo Meloni. Questo comma ha cancellato ogni distinzione tra cannabis light e droghe pesanti, riportando le infiorescenze di canapa — anche con THC sotto lo 0,5% — all’interno del Testo Unico sugli stupefacenti.
Di colpo, ciò che era venduto legalmente in centinaia di negozi è diventato materiale da confisca. Un’inversione a U priva di fondamento scientifico e giuridico. Il tutto senza passare dal Parlamento: il decreto è stato imposto d’urgenza, aggirando il dibattito democratico.
E così, centinaia di piccoli imprenditori si ritrovano criminalizzati, senza indicazioni su come trattare la merce già acquistata legalmente. Buttarla? Restituirla? Nasconderla? Nessuno lo sa. Ma se non fai in tempo a sparire, rischi la galera.
“Siamo imprenditori, non narcos”
La scena surreale si è spostata davanti a Montecitorio. Cartelli in mano e volto scoperto, Del Ferraro e Giorgi hanno protestato pacificamente insieme al deputato Riccardo Magi (+Europa) e alla presidente di Meglio Legale, Antonella Soldo. Al loro fianco, l’avvocata Paola Bevere, che ha subito impugnato il sequestro sollevando questioni di legittimità costituzionale.
Perché la questione, ormai, è tutta giuridica. Secondo Bevere, la nuova norma viola:
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il principio di offensività del reato: la Cassazione a sezioni unite, nel 2019, ha stabilito che la cannabis light non ha effetto drogante. Se non offende né danneggia, perché deve essere punita penalmente?
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i principi di necessità e urgenza: per fare un decreto servono pericoli gravi e immediati. Dov’è l’emergenza?
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la normativa europea sulla libera circolazione delle merci: l’articolo 18 è in aperto conflitto con le regole UE, e potrebbe essere disapplicato da qualunque giudice italiano.
In gioco, dunque, non c’è solo un commercio di nicchia. C’è la coerenza dello Stato di diritto.
Una nuova “strategia della paura”
Le nuove norme non sono isolate. Si inseriscono in una più ampia strategia politica, dove le droghe — tutte, indistintamente — diventano terreno di scontro ideologico. La canapa, simbolo di una cultura alternativa, viene rimessa sul banco degli imputati per meri fini identitari.
Non importa che il CBD sia usato ovunque nel mondo per trattare ansia, infiammazioni, epilessia, dolore cronico. Non importa che la Corte di Giustizia europea abbia stabilito che il CBD non è uno stupefacente. In Italia, oggi, può bastare una bustina da 3 grammi per finire davanti a un giudice penale.
Come osserva la stessa Antonella Soldo, è un attacco al cuore della democrazia: «Che fiducia possono avere i cittadini in uno Stato che cambia così le regole del gioco, senza preavviso, senza buon senso, senza prove?»
Uno scontro che arriverà alla Consulta (ma tardi)
L’udienza presso la Corte d’Appello di Roma ha già avuto luogo. Tuttavia, è improbabile che il giudice invii subito il caso alla Corte Costituzionale. Più plausibile è che tutto venga rinviato al processo di merito, dilatando i tempi. Le sentenze della Consulta, se arriveranno, potrebbero giungere tra anni, lasciando nel frattempo decine di operatori sospesi nel limbo giuridico, con attività bloccate e vite rovinate.
Nel frattempo, la speranza è che qualche tribunale si faccia coraggio e disapplichi direttamente la norma, come già previsto in caso di contrasto con il diritto europeo.
Una guerra contro la realtà
Il caso dei “nuovi narcos del CBD” è emblematico: ci mostra un’Italia che fa la guerra alla canapa per non affrontare il vero problema delle droghe. Mentre crescono i decessi per cocaina e si diffonde l’abuso di psicofarmaci, si sceglie di colpire chi vende tisane rilassanti e pomate per l’artrosi.
È un modello penale che ignora la scienza, calpesta l’economia legale e cancella decenni di evoluzione giuridica. È la politica del “punire per rassicurare”, anche se non c’è nulla da temere. O almeno, nulla che non si stia creando artificialmente con decreti scritti sull’onda della propaganda.