4 Giugno 2025
Solidarietà all’azione di resistenza passiva dei senatori dell’opposizione da parte di Forum Droghe: con le nuove norme si rischiano 2 anni di carcere.
Forum Droghe, che insieme a molte realtà della società civile ha promosso il digiuno a staffetta e le manifestazioni a Roma contro il decreto sicurezza, interviene sulla seduta in corso al Senato.
Hassan Bassi, del direttivo di Forum Droghe, ha dichiarato: “siamo solidali con la protesta di resistenza passiva messa in atto stamane dai senatori dell’opposizione a fronte dell’ennesima forzatura messa in atto dal Governo per la conversione del Decreto Sicurezza, con l’apposizione della seconda questione di fiducia in una settimana. Di nuovo si forzano gli strumenti democratici per approvare norme che restringono fortemente gli spazi del dissenso. Basti pensare che quello stesso atto di resistenza passiva, se agito fuori dal Palazzo, in piazza od in strada, con le nuove norme porterebbe ad una condanna fino a 2 anni di carcere!” Bassi ha poi ribadito che “insieme alla rete di organizzazioni del terzo settore continuiamo a pensare che sia nostro compito contrastare norme che ledono i diritti civili ed umani dei cittadini, utilizzando la leva penale in maniera sproporzionata ai danni dei più deboli. Esattamente l’opposto del nostro mandato sociale, che si basa sulla solidarietà, la lotta alle disuguaglianze. Solo con la costruzione di comunità solidali che sappiano essere inclusive è possibile ridurre le tensioni ed i reati, ricomponendo i conflitti sociali frutto di diseguaglianze ormai insopportabili.”
Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, ha ribadito invece come “ci troviamo di fronte a un insieme disorganico di norme repressive e illiberali, che puniscono comportamenti non per la loro offensività reale ma perché posti in essere da specifici gruppi sociali o etnici, oppure per esprimere dissenso e protesta. Questo provvedimento affonda le radici in una visione populista e ideologica del diritto penale che questo governo ha deciso di abbracciare e rendere l’unica reale cifra della propria azione di governo. Una svolta che è anche autoritaria, come abbiamo visto già nel primo fine settimana di applicazione del decreto, nelle piazze per la Palestina come nello sgombero violento dei rave a Torino e Trento. Un esempio paradigmatico di un approccio che ignora i principi stessi del diritto penale è il trattamento riservato alle infiorescenze di canapa industriale: un vero e proprio cortocircuito normativo, che pretende di classificare come stupefacenti prodotti che non lo sono, piante escluse espressamente dai trattati internazionali e dallo stesso Testo Unico sulle droghe. E così si colpisce un intero comparto legale, provocando il rischio concreto di far sparire oltre 22.000 posti di lavoro e causando un danno economico stimato in circa 2 miliardi di euro. La destra – conclude Fiorentini – continua a cavalcare paure, vere o costruite ad arte come nel caso della cannabis light, per distogliere dalla propria incapacità di governare i problemi reali del paese. Non basta infatti infilare la parola “sicurezza” in un decreto per garantirla ai cittadini, che invece si confrontano ogni giorno con salari che valgono sempre meno o il timore dell’ennesima alluvione.
Sicurezza. Il governo del manganello
https://www.fuoriluogo.it/mappamondo/sicurezza-il-governo-del-manganello/
Sergio Segio torna sul decreto sicurezza, in dirittura d’arrivo al Senato, per la rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 4 giugno 2025.
Il decreto Piantedosi, che ha già ottenuto il voto di fiducia della Camera, è stato definito «fascistissimo» a rimarcarne intenti ed effetti che superano persino il codice Rocco. Mitridatizzati da un ventennio di enfatizzazione della “sicurezza”, sorretta dalla retorica bipartisan di una “cultura della legalità” declinata in chiave di ordine pubblico e di populismo penale, rischiamo infatti di non cogliere appieno l’involuzione autoritaria imposta dall’attuale governo. A differenza dei precedenti (utilmente riepilogati da Livio Pepino: Maroni, 23 febbraio 2009, n. 11; Minniti, 17 febbraio 2017 n. 13 e 20 febbraio 2017, n. 14; Salvini, 4 ottobre 2018, n. 113 e 14 giugno 2019, n. 53; Lamorgese, 21 ottobre 2020, n. 130), l’attuale decreto sicurezza (11 aprile 2025, n. 48), ora al Senato, si inscrive con maggiore coerenza ed evidenza in un progetto di forzatura costituzionale e della democrazia.
L’attenzione mediatica e i rilievi critici si sono maggiormente appuntati sull’introduzione di nuove fattispecie di reato (14) e aggravanti (9) e sugli aumenti di pena di cui al Capo I (Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata) e del Capo II (Disposizioni in materia di sicurezza urbana), trascurando quanto disposto dal Capo III (Misure in materia di tutela del personale delle forze di polizia e delle forze armate). Queste maggiori tutele si tradurranno in pene aumentate della metà nei casi di violenza, minacce o resistenza nei confronti dei pubblici ufficiali per arrivare addirittura a 16 anni di carcere nel caso di lesioni. Non meno eloquenti e preoccupanti sono le prerogative concesse: la copertura delle spese legali nel caso (in verità assai raro) un agente venisse processato per fatti di servizio e la facoltà di portare fuori servizio senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza. È poi significativo che siano inserite in questo Capo anche misure relative alle carceri e ai centri di trattenimento per i migranti, la cui ratio è di punire in misura abnorme qualsiasi protesta e diventa massima di fronte alle Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza (art. 31). Nella formulazione dell’originario disegno di legge vi era persino l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, e in particolare per le università, di collaborare con i servizi segreti e di fornire loro informazioni. Non meno allarmanti sono le misure, rimaste nel testo trasferito nell’attuale decreto, che consentono non solo l’infiltrazione di agenti all’interno di associazioni con finalità di terrorismo ed eversione, ma la stessa promozione e organizzazione di tali associazioni, con la garanzia che le identità fittizie di copertura potranno essere mantenute anche in sede processuale. Quanto sia pericolosa e potenzialmente estensibile tale norma ce lo mostra, ad esempio, la vicenda di Potere al popolo di Napoli – per inciso, un partito politico democratico e non un gruppo sovversivo – che ha recentemente denunciato la presenza di un poliziotto infiltrato in incognito tra le proprie fila.
Alla repressione generalizzata e al “diritto penale del nemico” rivolto alle “classi pericolose”, ovvero a ecoattivisti, dissidenti politici, occupanti di case per bisogno, utilizzatori di cannabis per diletto o per mestiere, lavoratori in lotta, studenti contestatori, madri in carcere, migranti, poveri e marginali in genere, si accompagnano insomma la più classica impunità per le illegalità in divisa e una nuova strategia della tensione, a loro volta funzionali a un processo di fascistissimo irrigidimento liberticida. Contro cui è però forte e crescente la reazione dal basso, come mostra la grande manifestazione a Roma del 31 maggio e il partecipato digiuno a staffetta in corso.